domenica 19 febbraio 2012

5. Unclued



Una snella figura si stagliava in controluce dinnanzi alla finestra del salotto di Baker Street. La fronte era leggermente corrugata, chiaro segno dell’intensa attività intellettuale della sua mente superiore. La barba era incolta, trascurata da almeno tre giorni. La pioggia picchiettava ritmicamente sull’ampia vetrata, ma questo rumore sembrava non infastidire minimamente il grande detective.

C’è un tempo di merda, pensò mentre secchiate di acqua nera e sporca venivano vomitate dal cielo su Londra.

Per un attimo, aveva temuto che l’inattività degli ultimi mesi avesse atrofizzato le sue cellule cerebrali, andando a intaccare i perfetti meccanismi della sua logica. Ma che sciocchezza, si disse rincuorato, ci vuole ben altro per mettere a tappeto il mio genio.
Dopo la vittoria a Chi vuol essere milionario?, Holmes aveva deciso di ritirarsi dalle scene, certo dell’invidia della concorrenza.

La voce squillante della padrona di casa, Jessica Fletcher, interruppe dal piano di sotto la sua riflessione.
«Signore! C’è il dottor Watson per lei!»
Ovvio, vecchia vacca. Nulla sfugge al geniale Sherlock Holmes, che già da tempo aveva previsto questa visita. Più o meno da quando, venti secondi prima, aveva visto un uomo con la stessa faccia del suo fidato assistente accostarsi al portone del 221b di Baker Street.

Occhi aperti, potrebbe essere un terribile automa.

Watson entrò in salotto, sfoggiando il suo miglior sorriso.
«Holmes! Da quanto t…»
«Shht!» fece l’altro, interrompendolo. «Deduco che lei sia appena tornato da una vacanza in una località di villeggiatura, probabilmente un centro termale… e il suo puzzo di zolfo mi fa supporre si tratti di Bath, in cui si è trattenuto per circa dieci giorni.»

Detto ciò, sprofondò con soddisfazione nella sua elegante poltrona.

«Holmes…» mormorò il dottore.
«Sì, lo so… dopo tanto tempo, riesco ancora a stupirla con le mie deduzioni.»
«Holmes, veramente ho solo fatto una puzzetta.»
«Certo, certo...» disse il detective senza staccare lo sguardo dall’assistente, «mi dimostri che è lei.»
Watson perse qualche secondo, prima di rispondere con un timido «ha fatto ancora uso di droghe pesanti?»
«Suvvia, le ho chiesto di peggio in passato. Se fosse davvero lei, lo saprebbe.»
Un rivolo di sudore imperlò la fronte dell’aitante dottore al solo ricordo delle punizioni ricevute in passato.

La conversazione era iniziata da trenta secondi, ma era già arrivata al punto di saturazione. Watson mise da parte il mesto vaffanculo che riservava solo alle occasioni importanti, limitandosi a spostare il fuoco del discorso.
«La trovo piuttosto bene. Ha ridotto le dosi di cocaina?»
«Al contrario, le ho modificate. Ho deciso di sostituire l’ecstasy con le caramelle gommose della Haribo. Adoro foderarmici le gengive, fino a bloccare completamente la salivazione. Ma prego, si accomodi pure…» concluse, indicando la poltrona che il dottore era solito occupare, prima di lasciare il nido di Baker Street per convolare a giuste nozze.

Un silenzio imbarazzato era sceso tra i due uomini. Holmes aveva afferrato il giornale e sembrava essere entrato in trance, la sua attenzione era evidentemente stata catturata da qualcosa.
«Trovato un nuovo caso?» disse Watson timidamente.
«No, sto tentando il livello “esperto” del sudoku» ribatté l’altro, senza staccare gli occhi dalla pagina.
«Holmes, non può continuare così… deve trovarsi un passatempo, qualcosa di meglio del riuscire a ingoiare un intero pacchetto di caramelle senza nemmeno masticarle e allenarsi col livello “esperto” del sudoku…»
«Non è colpa mia. Londra in questi giorni è monotona, e il giornale delle Witch esce solo una volta al mese. Ora mi lasci stare, credo che starò in bomba per massimo altri cinque minuti.»

Watson sospirò, rassegnato. L’esperienza gli aveva insegnato che se il geniale Sherlock Holmes si metteva in testa di tagliare i collegamenti, non c’era niente da fare se non attendere pazientemente che ritornasse tra i comuni mortali.

Il giovane dottore si guardò intorno, gustando nel frattempo il ritrovato abbraccio della sua comoda poltrona. Quanti ricordi legati a quelle mura. Tutti i casi risolti insieme, le colazioni a mezzogiorno e mezzo, le suonate di violino alle tre di notte, le esplosioni di acido per gli esperimenti di Holmes, i furti con scasso commissionati da Holmes, le nottate in questura per colpa di Holmes… che bei tempi. Un rumore sordo fermò il flusso dei suoi pensieri.

«Holmes, credo che un cane o qualcosa del genere stia grattando la porta.»
«Non dica idiozie, Watson» sogghignò il detective, «vada ad aprire. Dietro quella porta, troverà una giovane donna di circa vent’anni, snella ma robusta e dall’andatura piuttosto impacciata. Credo che abbia degli scarponi da boscaiolo ai piedi, numero 39».

Fece appena in tempo a concludere questa geniale analisi, che Watson aprì la porta del salotto. Dietro di essa, un curioso animaletto giallo dall’aria stordita, alto su per giù tre mele o poco più, che mosse qualche passo incerto, osservando i due gentiluomini.
«Ma è dolcissimo!» esclamò Watson, giungendo le mani come soleva fare nei momenti di maggiore entusiasmo.
«A me fa schifo, lo butti dalla finestra o ci faccia preparare il brodo.»
«Holmes! Ha qualcosa attaccato alla zampina!»
«Ok, allora prenda il qualcosa e lo butti dalla finestra. Merita una punizione per aver tratto in inganno i miei sensi finissimi ed avermi fatto toppare paurosamente una deduzione.»
A malincuore, il dottore slacciò la piccola pergamena legata alla zampa dell’animaletto e, carezzandolo dolcemente, lo catafiondò giù dalla finestra, sperando che una carrozza mettesse presto fine alle sue sofferenze.

«Dunque? Cosa dice il messaggio?» mormorò Holmes, con aria annoiata.
«Non so… si direbbe una lettera, scritta da una certa signorina Bella, evidentemente una giovane americana – a giudicare dal modo in cui scrive –, ad una sua amica di nome Gemma del Sud. Un messaggio piuttosto confidenziale, evidentemente questa Bella si trova in un collegio…”
«Dia qui» sospirò Sherlock, «detesto sentire le sue idiozie, Watson. Quello geniale, tra noi, sono io. Non se lo dimentichi. Lei è quello bello e cretino. Buono solo per ballare a Domenica in»
Watson avvampò. Ogni volta che il suo ex-coinquilino lo insultava, si sentiva in qualche modo gratificato. Anche se non l’avrebbe mai ammesso, era davvero felice di essere tornato a Baker Street, anche solo per una breve visita.

«Mmmmh, molto interessante…» sussurrò il geniale Sherlock Holmes.
«Cosa ne deduce?» disse Watson, tentando di nascondere l’eccitazione dell’attesa.
«Che questo messaggio è scritto da una donna, una certa Bella. Credo si rivolgesse ad un’amica lontana, Gemma del Sud.»
Watson sbatté le ciglia con aria perplessa. «E… quindi?»
«E quindi, indubbiamente non è ciò che sembra. Dev’esserci una qualche crittografia dietro… vediamo… ah, certo. Chiaramente, il messaggio è una richiesta di aiuto. Guardi qui.»
In alto, sopra la calligrafia storta, vi era uno stemma quadripartito, con al centro una grande H e sotto un motto in latino.
«Draco dormiens nunquam titillandus» lesse ad alta voce Holmes. Il detective decise di ricorrere alla sua conoscenza del latino per tradurre prontamente la frase appena letta «Al drago piace essere titillato, interessante.»
«Ma veramente...».
«Non sentivo l’adrenalina scorrere nelle vene da quando vinsi il quiz di Gerry Scotti.» lo interruppe Holmes.
Watson si aggiustò un ciuffo sulla fronte, cercando di trovare le giuste parole per rettificare l’affermazione del detective. «Holmes» tossì, «se ricorda bene come sono andati i fatti, lei si è intrufolato all’interno degli studi di Cologno Monzese e ha rubato quei soldi... ecco perché sono mesi che è agli arresti domiciliari.»

«Cazzate, dobbiamo recarci alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.» disse Holmes mostrando l’intestazione del foglio.
«C’è un treno che parte per Hogwarts questo pomeriggio alle sei, ma, come le dicevo, lei non potrebbe usci...»
«Perfetto!» esclamò Sherlock, battendo le mani con soddisfazione «avrò anche il tempo per svolgere la mia conseuta attività delle cinque.»
«Prendere il tè?» chiese Watson.
«No, sfilacciare le mie caramelle della Haribo e tessermici un paio di mutande come quello di Belen» rispose con tono ovvio il detective. «Watson, ma che ci fa ancora qui? Muova il culo, vada a fare le valigie.»
Il dottore non nascose la propria sorpresa.
«Holmes, ma io… non posso! Ho il mio studio da mandare avanti…»
«Ancora cazzate. In anni e anni, non è mai stato un problema. Nessuno dei lettori si è mai seriamente chiesto di cosa campasse, dato che passava le sue intere giornate appresso ai miei casi invece di curare i malati come ogni medico che si rispetti.»
Watson non poté replicare. Quell’Holmes ne sapeva sempre una più del diavolo.
«Ma… mia moglie?»
«Watson, lei pensa che i suoi fan preferiscano Mary Morstan o Sherlock Holmes come compagno per il suo weekend? Ci pensi un attimo. O, se preferisce, si faccia un giro sui siti di fanfiction.»
Il medico sospirò. «Passo di qui alle cinque e un quarto, si faccia trovare pronto, vestito e sbarbato. Ho l’impressione che questo collegio di Hogwarts sia un posto da pariolini.»