Eravamo sdraiati su
un prato. Il sole stava tostando le mie palpebre chiuse, schiarendo i baffetti
che mi sarei tolta con le pinzette una volta tornata a casa da Charlie. Edward
carezzava i miei capelli, accennando una canzone che non avevo mai sentito.
«Voglio averti qui
vicino... voglio stringerti un pochino... dove sei?».
Quella canzone
parlava di noi.
L’abbraccio freddo
del vampiro mi riscaldava come non avevano fatto cento di mia madre.
«Edward» sussurrai,
mentre girandomi cercai un suo bacio. «Quando mi trasformerai in vampiro per
fare del sano fiki-fiki?»
«Quando entrerai
nuovamente nella vergine di Norimberga!» rispose una voce che non gli
apparteneva.
Sgranai gli occhi
terrorizzata. Il Dottor House mi stava tenendo a sé, in un abbraccio che non
aveva più nulla della tenerezza di Edward.
«Tu non sei come
noi» mi disse digrignando i denti come avevo visto fare solo a Jacob sotto
forma di lupo.
Roteai gli occhi,
cercando di divincolarmi, quando lo vidi. In lontananza. Come sospeso.
A qualche metro da
noi, Harry Potter ci osservava con un’espressione impenetrabile. Ricambiai il
suo sguardo, mentre il medico aveva iniziato a cospargermi le natiche –
improvvisamente scoperte – di olio e arance.
Non volevo che mi
vedesse così.
Poi, un urlo nel
buio.
Ero da poche ore
scivolata nel tiepido abbraccio del Sonno, quando mi ritrovai a fissare il
soffitto della sala comune del mio dormitorio, perfettamente vigile. Mi misi
velocemente a sedere davanti al fuoco, ignorando i muscoli che mi ricordavano
che mi ero addormentata sul divano.
A passi lenti mi
diressi verso le scale a chiocciola, cercando di lavare via il ricordo
dell’incubo appena fatto con un massaggio alle tempie. Asciugai un rivolo di
bava che mi era scivolato lungo il collo e buttai giù un sorso di blumele.
Avevo appena iniziato a salire i gradini per andare a coricarmi a letto, quando
lo sentii di nuovo: un altro urlo, stavolta più vicino.
Mi bloccai
stringendo il ferro della balaustra, incapace di respirare.
Silenzio.
Senza pensarci
troppo, mi fiondai verso la parete scorrevole del mio dormitorio, quella
comunicante con i bagni i maschili. Attaccai l’orecchio contro la pietra
cercando di captare qualche altro suono.
Colsi una voce
ovattata: sembrava appartenere ad un uomo che stava discutendo animatamente con
qualcuno. Rimasi con l’orecchio teso, cercando di captare qualche parola, ma la
parete spessa aveva insonorizzato quasi completamente l’altra stanza.
Poi, le due voci si
allontanarono.
«Ok» feci a me
stessa, incamerando più aria possibile; quindi, lasciai che la parete
scorresse, dandomi accesso al bagno.
Silenziosa come un
gatto scivolai dentro il box e sbirciai dalla porta socchiusa.
Chiunque stesse
parlando, si stava dirigendo lontano dal bagno. Riuscivo a sentirne chiaramente
i passi.
Il pericolo mi
aveva sempre attratta. Ricordai quando, pur di vedere il volto del mio amato,
mi ero buttata da una scogliera, rischiando di morire sfracellata sulle rocce.
Spinta dalla stessa
carica di adrenalina, abbandonai il bagno dei maschi e seguii l’eco dei loro
passi.
A piedi nudi
calpestai una pozza di piscio, il cui olezzo mi impregnò le narici,
accompagnandomi fino al gelido labirinto dei sotterranei del castello. Dove
diamine stavano andando? Di cosa stavano discutendo?
Faticavo a stargli
dietro, le gambe mi facevano ancora male. Feci uno sforzo ulteriore e sentii
l’adrenalina tornare a scorrere nelle vene, quando le loro voci riacquistarono
volume: mi stavo avvicinando.
Le fiaccole del
corridoio proibito erano state spente da Gargamella, il custode della scuola.
Dannazione, pensai, continuando a farmi strada a tentoni.
Ormai ero
vicinissima, di lì a breve sarei riuscita a vedere i bagliori delle loro
bacchette.
Clang!!
Rimasi paralizzata,
lasciando che il rumore dell’armatura che avevo appena spinto inavvertitamente,
finisse di echeggiare nel buio. Il vociare dei due si interruppe insieme al
rumore dei loro passi.
«Chi è?» fece una
voce maschile che avevo già sentito.
Il rappresentante di Grifondoro, il professor
Oscar Wilde spuntò dietro l’angolo che non ero riuscita a vedere. Il professore
alzò la bacchetta nella mia direzione, per farsi luce.
Istintivamente mi
appiattii contro il muro, il tempo di incrociare il suo sguardo e sentire il
mio cuore perdere un colpo.
Mi aveva visto, ne
ero sicura.
«Oscar, che
succede?»
Una ragazza che non
avevo mai visto comparve al suo fianco. Aveva i capelli biondi e vestiva gli
abiti di una metallara sexy.
«Strano... ero
convinto che qualcuno ci stesse seguendo dai bagni.»
Trattenni il
respiro. Perché mi sta coprendo?
Il professore cinse
la spalla della ragazza e sparì nuovamente dietro l’angolo.
Cercando di non
fare ulteriore rumore, mi avviai velocemente verso il mio dormitorio.
Aspetta, Bella.
Qualcosa dentro di
me mi fece fermare nel buio. Potevo ancora sentire i passi dei due. Se avessi
voluto, sarei riuscita a raggiungerli e capire di cosa stessero discutendo.
Bella, non fare cazzate, ti è andata bene una volta...
Il professore aveva
chiaramente finto di non vedermi. Voleva proteggermi?
O voleva che lo
seguissi?
Le gambe si mossero
prima del mio pensiero, accorciando le distanze che mi separavano dal
professore e dalla sua misteriosa accompagnatrice.
«Ne ho fatti fuori
due stanotte. Si erano spinti fino al campo di quidditch di loro spontanea
iniziativa» spiegò la ragazza al professore.
«Non è da loro
comportarsi in questo modo. Finora non avevano mai violato le regole della
scuola...» commentò Oscar Wilde, mentre una lunga ombra nera appesantiva il suo
cruccio, in un gioco di luci caravaggesco.
«C’è sempre una prima
volta» tagliò corto lei. «Li conosco bene.»
Il cuore aveva
iniziato a martellarmi così violentemente in petto, da farmi temere che lo
potessero sentire.
«Controlliamo i
dormitori» propose il professore. «Non dobbiamo correre rischi.»
Mi voltai e iniziai
a correre senza respirare. I miei occhi si erano abituati alla luce delle loro
bacchette, e riuscire a tornare al bagno maschile si rivelò impossibile.
Era la svolta a destra?
Avevo completamente
perso l’orientamento. Perché stavo fuggendo? Oscar Wilde era riuscito a
vedermi. Cosa sarebbe successo se fossi tornata nel mio dormitorio? Cosa
dovevano controllare?
Non riuscivo a
levarmi dalla testa le parole della bionda.
Ne ho fatti fuori due...
Forse tornare nel
mio dormitorio non era la mossa giusta.
Ma allora cosa posso...
Non riuscii a
terminare il mio ragionamento, che qualcosa di morbido mi fece inciampare e
cadere a terra. Ancora una volta, le mie ginocchia fermarono la caduta. Un
numero infinito di aghi di dolore mi si conficcò nelle gambe, mozzandomi il
fiato.
A terra mi girai,
cercando di capire cosa mi avesse ostacolata.
Qualcuno doveva
aver perso un fagotto in mezzo al corridoio.
Dove diavolo sono?
La luna, che fino a
quel momento era rimasta nascosta da una fitta coltre di nubi nere, mi venne in
soccorso, illuminando il corridoio dei bagni femminili.
Sono dalla parte opposta al mio dormitorio.
Guardai in basso.
Il fagotto era più grande di quello che avevo percepito. Da una parte, la luce
lunare aveva fatto scintillare la paglia che ne usciva.
Mi avvicinai,
strisciando, quando misi la mano su qualcosa di appiccicoso.
«Cosa...»
Afferrai il sacco e
lo girai verso di me.
Non riuscii a
trattenere il grido che mi uscì dal petto.
Quello che avevo
davanti non era un sacco. Era il cadavere di Marilyn Monroe.
E la mia amica,
completamente sfregiata, mi sorrideva.
Qualcuno le aveva
cavato gli occhi.